Neve e arte giapponese

La sensibilità giapponese alla natura e alla bellezza delle stagioni ha condotto spesso gli artisti a rappresentare i fenomeni tipici di ogni stagione dell’anno, compresi quelli atmosferici come pioggia, neve e vento. La neve, in particolare, è un soggetto ricorrente, a differenza che nell’arte occidentale in cui, salvo casi sporadici, essa non ha costituito oggetto di rappresentazione fino a Monet. Quest’ultimo, seguito da tutti gli Impressionisti, la introdusse come motivo ricorrente di quadri proprio in seguito alla visione di stampe giapponesi.

Sebbene la rappresentazione della neve tragga ispirazione da modelli cinesi, il paesaggio originale giapponese offre non pochi spunti agli artisti. Gli inverni giapponesi sono caratterizzati da abbondanti nevicate dovute allo scontro delle masse d’aria fredda del Mar del Giappone, provenienti dalla Siberia, sulle catene montuose centrali. L’area caratterizzata da maggiori nevicate, situata a nord delle montagne centrali, è nota come Yukiguni, ovvero “Paese della neve” e vi è stato ambientato l’omonimo romanzo di Yasunari Kawabata (1899-1972).

Nelle stampe su matrici di legno la neve è solitamente rappresentata utilizzando non l’inchiostro bianco, ma la stessa carta washi di cui è fatta la stampa. Vi sono infatti varie modalità di rendere la neve. Per le vaste superfici vengono lasciate intere aree della carta vuote. I fiocchi di neve invece vengono realizzati incidendo nella matrice di legno inchiostrata dei piccoli incavi in modo che, una volta impressa la matrice sulla carta, quest’ultima resti bianca in corrispondenza degli incavi. Più raramente, in edizioni di lusso o su commissione di privati, fiocchi di neve aggiuntivi erano rappresentati picchiettando l’inchiostro bianco (gofun), fatto dai gusci di conchiglia sbriciolati, sulle superfici già colorate. I fiocchi picchiettati, più bianchi del colore della carta, risaltavano su di essa. Inoltre, il pigmento era applicato in modo casuale, rendendo unica ogni stampa, a meno che non fossero usate delle mascherine con buchi secondo la tecnica dello stencil, in modo che la posizione e la distribuzione dei fiocchi fosse la stessa in tutte le stampe. Un’altra modalità di rappresentazione della neve consisteva nell’imprimere la superficie della spessa carta washi, ricavata dal gelso, mediante un blocco intagliato e non inchiostrato, in modo da creare segni longitudinali a rilievo che, controluce, apparissero come tracce tridimensionali nella neve.

La neve ha un fascino particolare nella sensibilità giapponese perché simbolo di purezza: essa rappresenta l’ingenuità che spesso si accompagna al compimento delle imprese eroiche. A volte è anche associata, in stampe e dipinti, ai fiori di ciliegio: fiocchi di neve e petali di sakura – simbolo, questi ultimi, di ciò che è effimero e passeggero, come la vita dell’eroe – si confondono in un turbinio di struggente e delicatissima poesia. Bianca come neve è la carta washi di cui sono fatte le striscioline (gohei) pendenti dalle corde (shimenawa) che circoscrivono le aree sacre dello shintoismo. La neve poi, negli haiku, cioè nei componimenti poetici brevi giapponesi, è spesso associata al concetto zen di vuoto. Essa, infatti, tutto ricopre, riducendo le cose a nulla, come è espresso nei versi di Naitō Jōsō (1662-1704): “I campi e i monti / sono scomparsi sotto il manto nevoso. / E’ il nulla”.

Utagawa Hiroshige, Neve al crepuscolo sui monti Hira

Neve al crepuscolo sui monti Hira di Hiroshige fa parte della serie “Otto vedute di Ōmi” che, ispirandosi alla serie cinese “Otto vedute dei fiumi Xiao e Xiang”, associa ad ogni veduta uno stato d’animo, un momento del giorno, una poesia. In quest’opera, la stilizzazione nella rappresentazione delle montagne e la riduzione dei crinali a pura forma geometrica ricorda in qualche modo Paul Cézanne. La maestosità delle vette innevate contrasta con la miniaturistica rappresentazione del villaggio di basse casette dai tetti spioventi a valle. Nonostante l’imponenza dell’elemento naturale su quello umano, tutto è inserito in una sapiente armonia nella quale ogni cosa è valorizzata: dalla vastità delle montagne, l’occhio scende fino a notare i minimi particolari del barcaiolo che muove un remo e del vecchietto col suo bastone. Il cielo, al crepuscolo, è illuminato dal bianco riflesso della neve ed il paesaggio, sebbene notturno, appare splendente. L’opera trasmette un senso di estatica quiete e maestosa, nostalgica bellezza. I versi nel cartiglio riprendono quelli di Konoe Nobutada (1565-1614) sul tema della nevicata al crepuscolo: “Dopo una nevicata / le cime di Hira nel crepuscolo / superano la bellezza dei fiori di ciliegio”.

Utagawa Hiroshige, Il tempio di Gion nella neve

Sempre di Hiroshige è Il tempio di Gion nella neve, opera ambientata, questa volta, in uno scenario cittadino. Essa fa parte infatti della serie “Vedute famose di Kyōto” e rappresenta quattro geisha di fronte alla porta d’ingresso, detta torii, del tempio Kanshin-in nel distretto di Gion a Kyōto. Le geisha indossano alti sandali di legno (geta), si riparano sotto ombrelli “a occhio di serpente” (janome) e sollevano i kimono dai sobri colori perché non si bagnino. L’autore insiste sul dettaglio della distesa di graziose impronte che esse lasciano intorno a sé. Gion divenne uno dei maggiori quartieri di piacere e distretti di geishe del Giappone, molto visitato dai viaggiatori e frequentatori del tempio. Colpisce, in questa stampa, l’eleganza ed essenzialità del cromatismo che va dal bianco dei fiocchi danzanti al grigio del cielo e degli alberi innevati, dall’azzurro chiaro della porta del tempio al blu dei kimono. La rappresentazione non è piatta e frontale, ma il torii, rappresentato di sbieco, taglia l’immagine in due, conferendo dinamismo alla scena.

 

Ogata Gekkō, Contemplando la neve da un interno 

L’opera Contemplando la neve da un interno di Ogata Gekkō, facente parte della serie “Maniere e costumi delle donne”, ci trasporta nell’intimità di un ambiente domestico. Due donne, l’una seduta e l’altra in piedi, guardano il paesaggio innevato dalla finestra conversando fra loro. Quella in piedi indica qualcosa fuori, mentre l’altra si scalda vicino al braciere per contrastare il freddo che proviene dalla finestra aperta. I vividi rosa e porpora dei kimono, che così realisticamente rendono la lucentezza della seta, sono il risultato dell’uso di coloranti sintetici tipici dell’era Meiji (1868-1912). I brillanti colori dell’interno contrastano con la monocromia bianco-grigia dell’esterno, dando un’idea di calore contrapposta al freddo del paesaggio ghiacciato. Il ramo di bambù piegato sotto la neve è un motivo beneaugurale tipico dell’inverno, ma assume anche un significato metaforico, come si evince dalla poesia: “Bisogna piegarsi / nel mondo fluttuante – / neve sul bambù”, di Kaga no Chiyo (1701-55).

Katsushika Hokusai, Cavaliere nella neve

Rappresenta un viaggio in uno scenario innevato l’opera Cavaliere nella neve di Hokusai. Il protagonista, rappresentato di spalle nell’atto di osservare, in atteggiamento di contemplazione, la caduta dei fiocchi di neve su un lago punteggiato di uccelli acquatici, è stato tradizionalmente identificato con il poeta e statista della dinastia Song dal nome cinese di Sū Shì (1037-1101), noto in Giappone come Tōba. La serie, “Riflesso veritiero di poemi cinesi e giapponesi”, rappresenta poeti famosi cinesi e giapponesi immersi in vari scenari. In particolare, Sū Shì, che prima di essere esiliato aveva ricoperto importanti incarichi di governo, era famoso per aver costruito uno studio, detto Sala della neve, tappezzandolo di dipinti che rappresentavano la neve. Era inoltre apprezzato per i suoi poemi sul tema della neve. Cavallo e cavaliere appaiono come sospesi sulle ripide rocce, nel percorso che condurrà il poeta, forse, verso l’esilio. Lago e cielo sembrano fondersi fra loro e solo il ramo obliquo dell’albero, carico di neve, fa da ideale separazione fra essi.

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