Iris di Ogata Kōrin

Ogata Kōrin, Iris, XVIII sec., Nezu Museum, Tokyo

Alla fine della sua vita Ogata Kōrin, l’artista che conosciamo per aver dato il proprio nome alla scuola Rinpa, dipinse le iris forse più importanti nella storia dell’arte. Il dipinto è stato accostato, per contenuto e fama, alla Primavera di Botticelli: attraverso la rappresentazione di una lussureggiante fioritura esso trasmette pienamente l’idea di forza della natura, il senso della dolce energia della stagione del rinnovamento.

Uno dei tratti distintivi dell’arte Rinpa è la poetica delle stagioni, declinate nei loro aspetti più suggestivi ed immagine della sacralità della natura e del concetto di impermanenza buddista. Alla luce di tali idee dev’essere compreso lo spirito delle opere una delle quali (quella del Nezu Museum) fu infatti realizzata, probabilmente, per il Nishi Hongan-ji, tempio di Kyoto frequentato dall’artista. La rappresentazione fissa un momento quasi sacro di fulgido rigoglio, splendido ma commovente perché effimero, transeunte, fugace. La stessa realtà visibile è illusoria, evanescente, dai contorni sfumati come queste vivide macchie di un verde brillante e di un blu profondo che per un solo, magnifico istante vibrano e risplendono su un fulgido sfondo.

Il pittore ha tratto ispirazione dal poema Ise Monogatari, scritto fra il IX e li X secolo e, in particolare, dall’episodio nel quale il protagonista Narihira, durante un viaggio, giunge nella località di Yatsuhashi sulle rive di un fiume attraversato da un ponte con otto snodi; dalle acque del fiume spuntavano, come una gioia per gli occhi, centinaia di fiori del tipo kakitsubata (iris laevigata, in giapponese iris “a orecchio di coniglio”). Il sublime spettacolo naturale riporta alla mente di Narihira il ricordo, soave e malinconico, di un luogo simile lasciato nell’amata Kyoto e della moglie lontana. Preso dalla nostalgia, egli compone un poema in cinque versi ciascuno dei quali comincia con una sillaba della parola kakitsubata.

Come molte opere di Tawaraya Sōtatsu, considerato il fondatore della scuola Rinpa, dunque, anche l’opera di Kōrin si ispira alla poesia. Tuttavia, pur conservando il ricordo del racconto a cui è ispirato, nel dipinto di Kōrin il soggetto pittorico assume un rilievo autonomo rispetto alla fonte letteraria, slegandosene e diventando esso stesso lirico, poetico, significativo in sé. Infatti gli elementi descrittivi, narrativi sono ridotti al minimo: come vedremo, prima il pittore ritrae le iris e il ponte e poi le sole iris, emblema della pienezza della primavera e del passaggio all’estate.

 Ogata Kōrin, Iris a Yatsuhashi (Otto Ponti), dopo il 1709, Metropolitan Museum of Art, New York

Nella coppia di paraventi conservati presso il Metropolitan Museum l’artista pone in contrapposizione la forma geometrica, spigolosa del ponte con la morbidezza dei fiori. La disposizione spaziale è diagonale, caratteristica dell’arte giapponese (come abbiamo visto ad esempio in una famosa stampa di Hiroshige qui). La diagonale è dinamica: l’occhio non si ferma sulla piatta linea dell’orizzonte, ma è portato a compiere un movimento dall’alto verso il basso. La realtà, secondo il taoismo, è sviluppo, movimento e una disposizione orizzontale, come una forma simmetrica, spegnerebbe questo dinamismo.

Inoltre, non tutto è mimeticamente rappresentato: è assente la figura umana e non è raffigurato il fiume. Acqua, aria, cielo sono compendiati nella luminosità dello sfondo oro. La preziosità degli sfondi, resa mediante l’impiego dell’oro e dell’argento, è anch’essa una caratteristica della scuola Rinpa mutuata dalla tradizione dell’arte yamato-e. Come nell’arte italiana precedente a Giotto lo sfondo oro è uno spazio astratto, ma anche un cielo teologico, così in quest’opera l’oro del fondale astrae dalla realtà fisica e proietta in una dimensione sacra, conferendo un significato religioso agli elementi della natura.

Nella coppia di paraventi conservati presso il museo Nezu a Tokyo Kōrin elimina anche il ponte, lasciando, come unico riferimento all’episodio poetico narrato, il sinuoso ondeggiare delle iris. La rappresentazione è ridotta al suo elemento essenziale, la vivida fioritura espressione del rigoglio e della rinascita primaverili. La forza della raffigurazione pittorica è potenziata dall’assenza, dal vuoto. Quest’ultimo, nello zen come nell’arte giapponese, è più importante del pieno perché in esso possono liberamente fluire le impressioni poetiche. Come aveva osservato Van Gogh, i pittori giapponesi “vivono nella natura come se fossero essi stessi dei fiori”. Così, senza disperdersi in dettagli secondari, il pittore può meglio immedesimarsi nell’essenziale, i fiori al loro schiudersi: egli rappresenta non tanto i fiori stessi, quanto l’energia in essi contenuta, cosicchè tutto si riduce al vuoto, alla pura energia.

Ogata Kōrin (1658 – 1716) nacque a Kyoto da una ricca famiglia di mercanti di tessuti. Potè dunque conseguire un’istruzione di base, studiando la scuola Kanō e, fra gli altri autori, i due artisti di Kyoto Hon’ami Kōetsu (1558-1637) e Tawaraya Sōtatsu (morto nel 1640 circa). Attraverso la realizzazione di alcune copie delle opere di quest’ultimo, egli si appropriò dello stile e delle tecniche di quella che poi, dal suo nome, fu denominata “scuola Rinpa”. Fu quest’artista, infatti, a condurre il decorativismo e l’impressionismo di Sōtatsu ad esiti di sublime idealizzazione.

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