Fiori e piante delle quattro stagioni by Tsuki

Fiori e piante delle quattro stagioni (1835 circa) di Utagawa Hiroshige, Honolulu Academy of Arts

Fiori e piante delle quattro stagioni

Sulle sponde di un ruscello si confrontano le diverse specie vegetali caratteristiche, rispettivamente, dell’autunno-inverno e della primavera-estate: da un lato si riconoscono l’acero, i crisantemi, l’achillea, le ortensie e i garofani, dall’altro il ciliegio, le peonie e le camelie.

Foglie, fiori e steli disegnano un’elegante trama sullo sfondo, campito di colore piatto, del fiume, quasi fossero i multiformi caratteri di una scrittura arborea che delineano variegate frasi su un foglio azzurro d’acqua. Si evidenzia, nell’arte giapponese, un gusto della linea come profilo disegnato su una superficie. Quest’ultima può essere quella di un fiume, come in Foglie d’autunno di Yokoyama Taikan, o della luna, come in Fiori di pruno e luna di Hokusai: in quest’ultimo caso è utilizzato l’effetto suggestivo del controluce.

I profili delle diverse piante sono delineati con accuratezza distinguendo attentamente la forma di ogni singola foglia, ramo o petalo. L’osservazione della natura da parte di Hiroshige, molto simile a quella di un botanico, è però diversissima nello spirito che la pervade. Nell’impostazione scientifica studiare la natura, classificarla, misurarla serve ad una conoscenza che è presupposto di una utilizzazione e di un dominio. Tale atteggiamento è reso possibile dal fatto che, nella cultura occidentale, la divinità è trascendente: ha creato la natura, ma è al di fuori di essa. Nella cultura orientale invece, nella quale la divinità è immanente, una conoscenza della natura finalizzata al suo utilizzo è inconcepibile e sarebbe illusoria. L’attenta osservazione di ogni più piccolo fiore o foglia è invece animata dalla consapevolezza che in ciascuno di essi c’è il divino, poiché nello shintoismo il divino è in ogni Kami, in ogni aspetto della natura. Ogni forma e sembianza in essa desta perciò meraviglia e senso di attenzione, rispetto e contemplazione.

Nella colorazione, un senso di uniformità è trasmesso prediligendo i toni smorzati, pastello o neutri, a quelli vivaci e brillanti. Tutto si deve distinguere con esattezza, ma nulla deve emergere. L’artista coglie l’identità delle singole cose, ma percepisce ciascuna come parte di un tutto in cui niente predomina e ogni cosa rinvia all’altra.

La scena non è realistica, dato che non è possibile vedere tutte queste piante fiorire insieme, dunque deve avere un significato simbolico. Forte è, nella cultura giapponese, la suggestione esercitata dall’alternarsi delle stagioni con i connessi mutamenti di temperatura e durata del giorno, il cambiamento nei colori, le piogge e le nevi, le fioriture e sfioriture. Tutto segue i periodi della natura: i riti di hanami (contemplazione dei fiori di ciliegio) in primavera e tsukimi (contemplazione della luna) in autunno, le feste, l’ikebana, la cerimonia del tè, le fantasie dei kimono, persino gli ornamenti delle pettinature femminili. Anche nell’arte figurativa, così come nella letteratura e nella poesia, i soggetti e i motivi ricorrenti sono quasi sempre connessi con le stagioni: un tòpos della pittura è la rappresentazione delle quattro stagioni, mentre nell’haiku il riferimento alla stagione è una clausola di stile.

Il trapasso da una stagione all’altra ha un significato simbolico di natura religiosa ed è legato al concetto buddista di impermanenza, cioè la natura transeunte di tutte le cose. L’equinozio di primavera e quello d’autunno, che individuano i due momenti di passaggio alla stagione estiva e a quella invernale, sono paragonati al transito da una sponda all’altra di un fiume e, sul piano religioso, sono la metafora del passaggio da una condizione di torpore, immobilità, ignoranza al risveglio dell’illuminazione. I nomi stessi dei periodi dell’anno in cui cadono l’equinozio di primavera e quello d’autunno, rispettivamente Haru no HiganAki no Higan, contengono la parola Higan che significa “altra sponda”.

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