I ritratti dei potenti

Ho scelto di accostare due dipinti, uno giapponese e uno italiano, a causa dell’identità del soggetto: il ritratto di uomini potenti.

 

Toyotomi Hideyoshi, Itsuō Art Museum, Osaka, circa 1598
Toyotomi Hideyoshi, Itsuō Art Museum, Osaka, circa 1598

Toyotomi Hideyoshi fu il più importante condottiero del periodo Momoyama che prende il nome dal luogo dove sorgeva il suo castello. Egli riunificò il Giappone e promulgò leggi volte alla creazione di un sistema sociale stratificato in caste, con la casta dei samurai unica detentrice del diritto di portare armi. Sebbene di umili origini, si adoperò per acquistare status e prerogative da aristocratico, facendo sfoggio di opulenza e di raffinatezza anche attraverso la pratica della cerimonia del tè. La sua figura ha aspetti contrastanti perché da un lato è ricordato per la sua ferocia nell’invadere la Corea non risparmiando donne e bambini, dall’altro per aver adottato provvedimenti positivi quali l’abolizione della schiavitù.

Il dipinto in questione cattura con intenso realismo i tratti fisionomici e, con essi, la personalità dell’anziano despota. Il viso minuto dagli zigomi sporgenti, la cui forma triangolare era accentuata dalla barbetta appuntita, era noto ai contemporanei come una “faccia da scimmia”. Le guance scavate e le rughe che lo fanno apparire, nel ritratto, ancor più rattrappito, sono i lineamenti di una persona anziana e malata, ma ancora animata da uno spirito indomito che promana dallo sguardo intenso degli occhi color ambra. L’abito voluminoso dal lungo strascico ed il rigido copricapo di seta caratterizzano il soggetto come un personaggio di alto rango. Tuttavia è stridente il contrasto fra l’ingombrante opulenza della veste e l’esilità della corporatura che si intuisce dallo spuntare di due gracili mani dalle ampie maniche. La lunga spada a sinistra ed il bastone, simbolo di autorità, nella mano destra completano l’iconografia dell’uomo di potere.

Piero della Francesca, Ritratto di Federico da Montefeltro, Firenze, Uffizi, 1465 circa
Piero della Francesca, Ritratto di Federico da Montefeltro, Firenze, Uffizi, 1465 circa

Ben diversa è la figura di Federico da Montefeltro e lo spirito che anima il suo ritratto, opera del pittore quattrocentesco Piero della Francesca. In esso non sono messi in evidenza soltanto gli attributi del rango e del potere, perché Federico, condottiero, ma anche erudito, mecenate e patrono delle arti e della cultura, non vuole passare alla storia come un despota, ma come un sovrano illuminato. Egli è raffigurato di profilo, come nelle medaglie romane, in una posa solenne, ma di una solennità quieta, sottolineata dalla monumentalità della plastica volumetrica. E’ immerso in una luce serena, in primo piano, con la sua terra come sfondo luminoso. L’autore è attento alla resa dei più piccoli dettagli del viso, quali le verruche e le rughe intorno agli occhi, come nella pittura fiamminga della quale forse quest’opera tradisce l’influenza. L’infinitamente vicino è messo in rapporto con l’infinitamente lontano grazie alle leggi della prospettiva che rendono lo spazio un universo ordinato e armonioso con al centro l’uomo.

Le due opere dunque esprimono due diverse concezioni del potere che ricorrono storicamente presso tutti i popoli: nella prima esso è il tragico dominio materiale di un solo uomo che finisce col consumarlo e con l’annientarlo, nella seconda è una signoria intellettuale e morale che è propria non di un solo uomo, ma di ciascuno.

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