Il gioco del go: un confronto fra Oriente e Occidente

Il gioco del go: un confronto fra Oriente e Occidente

Il gioco del go
I quattro talenti (particolare, tardo sedicesimo secolo) attribuito a Kaihō Yūshō, Sackler Gallery, Smithsonian Institution

Ho voluto cogliere l’occasione delle festività natalizie, tempo in cui si usa riunirsi con amici e parenti a giocare, per commentare, accostandole fra loro, tre opere molto diverse, l’una giapponese e le altre italiane, accomunate dal periodo (la seconda metà del sedicesimo secolo) e dal soggetto: il gioco.

La prima immagine è un dettaglio di un’opera più ampia attribuita a Kaihō Yūshō raffigurante “I quattro talenti”, cioè le quattro nobili arti che dovevano costituire l’educazione del gentiluomo confuciano: accanto alla musica, alla letteratura e alla pittura, tale modello educativo contemplava il gioco del go come attività utile ad elevare lo spirito. Infatti questo antichissimo gioco di strategia, originario della Cina, avendo come scopo quello di ampliare la propria zona di influenza senza far catturare le proprie pedine dall’avversario, sviluppava doti necessarie in un uomo destinato al governo, quali la riflessione, la pazienza e l’equilibrio. Per ampliare la zona di scacchiera sotto il proprio controllo, difatti, il giocatore doveva distanziare fra loro le pedine, mentre per impedirne la cattura doveva piuttosto raggrupparle: dalla necessità di contemperare fra loro queste opposte esigenze nasceva e si sviluppava la strategia di gioco.

Le quattro arti sono rappresentate entro uno scenario naturale: l’armonia con la natura è caratteristica del saggio e l’ambiente boschivo è puro ed incontaminato come il suo animo. Il gioco del go ha come sfondo delle rocce che sono quasi impressionisticamente abbozzate. Il panneggio dei giocatori è estremamente stilizzato e reso con tratti spessi, mentre linee sottili disegnano i volti e macchie di colore rendono i capelli e le barbe. Nonostante la concentrazione del gioco che traspare dall’espressione contratta del giocatore seduto, in procinto di eseguire la sua mossa, l’atmosfera è quieta e composta. Solo l’affacciarsi curioso di un viso infantile affascinato dal gioco vivacizza la scena.

Per un interessante approfondimento del gioco del go che introduce anche alla cultura e alla storia del Giappone consiglio il libro di Marco Milone Storia del Go, Youcanprint, 2014 (anche in e-book).

Il gioco del go
Partita a scacchi (1555) di Sofonisba Anguissola, Poznàn, Museo Nazionale

L’atmosfera serena, lo scenario naturale incontaminato e la vivace presenza di un bambino accomunano curiosamente l’opera commentata con la successiva, la “Partita a scacchi” di Sofonisba Anguissola. Quasi come il go in Oriente, il gioco degli scacchi, anch’esso di origine orientale, nell’Europa cinquecentesca rappresentava un’arte nobile alla quale era utile che il gentiluomo o la gentildonna fossero educati. Il quadro ha una tonalità intimista in quanto è una scena di vita familiare: la partita si gioca fra due sorelle della pittrice alla presenza di una sorella più piccola e dell’anziana nutrice. Il legame di affetto e intesa che unisce le donne è sottolineato dal dialogo delle mani e dal gioco circolare degli sguardi, quasi un gioco di specchi, che coinvolge la spettatrice. Notevole è la plastica chiaroscurale, la resa psicologica dei volti e la cura dei particolari. Il paesaggio sullo sfondo denota un’influenza leonardesca.

Il gioco del go
I bari (1594) di Caravaggio, Kimbell Art Museum di Fort Worth

La terza opera, “I bari” di Caravaggio, rappresenta una concezione completamente diversa, quella negativa del gioco come vizio, trappola morale ed occasione di inganno rispetto alla quale il pittore intende mettere sull’avviso il pubblico. Il giocatore ingenuo, concentrato sulle sue carte, è figurativamente stretto in una morsa dagli altri due giocatori uno dei quali si protende verso di lui per spiare le sue carte e l’altro lo chiude in un circolo con il braccio posto trasversalmente. Il differente abbigliamento sottolinea la diversità sociale e morale dei personaggi ed i particolari la confermano con marcato realismo: il guanto bucato di uno dei due bari denota incerte condizioni economiche e lo spadino alla cintola dell’altro un’attitudine violenta. L’opera rappresenta la figura umana di tre quarti in modo anche da celarne un occhio, con evidente significato morale: gli occhi sono infatti lo specchio dell’anima. Se chi userà l’inganno è destinato a risultare vincitore, chi vince moralmente è il giocatore onesto il cui volto, sebbene reclinato quasi in un’attitudine a subire, è sereno e non tradisce la tensione dalla quale sono continuamente attanagliati coloro che vivono raggirando gli altri.

Nel confronto fra l’opera giapponese e le due occidentali dello stesso periodo emerge il carattere essenziale, stilizzato e quasi astratto della prima rispetto al naturalismo descrittivo delle altre due. Infatti il dipinto di Kaihō Yūshō usa solo il bianco e il nero e rende la forma con tratti sintetici, mentre le opere dell’Anguissola e del Caravaggio, sia pur con caratteri diversi, impiegano tutta la gamma dei colori nel loro rapporto con la luce per descrivere minuziosamente la figura così come percepita dall’occhio umano.

La seconda immagine è stata tratta da: http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo47/articolo.htm

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