La grande onda di Kanagawa

La grande onda di Kanagawa (dalle Trentasei vedute del monte Fuji) (periodo Edo, diciannovesimo secolo), di Katsushika Hokusai, Tokyo National Museum

HokusaiLa sensibilità giapponese per la natura assume in Hokusai caratteri del tutto originali: più di qualsiasi altro, egli riesce infatti a cogliere uno spirito nella natura e ad esprimerne la vitalità. Esemplare è La grande onda di Kanagawa che tanto ha influenzato l’arte occidentale. In essa, dall’osservazione del fenomeno fisico, l’artista trae l’elemento estetico: la linea che va dal ventre dell’onda fino alla cresta inscrive in un semicerchio il cono del monte Fuji. La perfezione geometrica della natura è essa stessa bellezza, è in sé arte.

L’incanto della forma è esaltato dallo splendore del colore: le due diverse tonalità di blu dell’onda si alternano a fasce e vanno da una sfumatura più profonda a una gradazione più brillante; per rendere più nitidi i contorni l’autore ha usato l’indaco.

Tuttavia nella natura l’artista non vede solo la perfezione della forma e la purezza del colore, ma coglie uno spirito. E’ possibile parlare di visione antropomorfica: l’onda appare animata da volontà propria, dall’intento di gareggiare in altezza con la montagna sullo sfondo, contrapponendosi alla maestosa staticità di quest’ultima con il suo potente dinamismo. La schiuma sulla cresta ha una forma a uncini che sembrano artigli pronti a ghermire le minuscole figure umane appiattite sulle barche.

La forza distruttiva del mare si contrappone alla figura della montagna anche simbolicamente: se la prima è emblematica della fragilità dell’esistenza umana di fronte alla natura, la seconda rappresenta invece l’immortalità. Questi due opposti, la caducità dell’esistenza e l’eternità, pare abbiano esercitato una grande influenza sulla sensibilità dell’artista che si è esplicata nella rappresentazione di numerose vedute del monte Fuji.

Katsushika Hokusai, pseudonimo di Tokitarō, nacque a Edo fra ottobre e novembre 1760 e morì il 10 maggio 1849. Terzo figlio di Kawamura Itiroyemon, non fu mai riconosciuto ai fini della successione.

Il suo primo lavoro, all’età di dodici anni, fu quello di fattorino per una biblioteca ambulante. Durante il suo apprendistato presso la bottega di un incisore di matrici tipografiche, all’età di quattordici anni incise le ultime pagine di un romanzo umoristico. Successivamente decise di formarsi come artista entrando nello studio di un famoso pittore ukiyo-e dell’epoca, Katsukawa Shunshō che, dopo aver assistito ai suoi progressi, gli attribuì lo pseudonimo di Shunrō. Presto però il giovane Hokusai dovette abbandonare lo studio a causa della sua tendenza, non compresa dal nuovo caposcuola, a ispirarsi alla pittura europea.

Da quel momento l’artista non risiedette mai più di due mesi nello stesso posto, vivendo da girovago per seguire forse la sua ispirazione, ma anche per ragioni economiche. Visse infatti dei periodi di difficoltà finanziarie dalle quali si riprese accettando di svolgere i più diversi lavori, anche lontani dall’ambito artistico. In quest’ultimo campo sperimentò diversi generi come i surimono, cioè le cartoline per festività varie, l’illustrazione di libretti satirici, i libri gialli o i racconti illustrati per donne e bambini che egli stesso scriveva, sviluppando grazie ad essi lo studio della prospettiva e dell’arte cinese.

Per breve tempo assunse la direzione di uno studio artistico, ma poi prese la decisione definitiva di lavorare come artista indipendente, assumendo lo pseudonimo con il quale lo conosciamo e che è legato alla stella polare ed al nome della zona di Edo ove sorgeva il quartiere in cui era nato.

Si fece conoscere come “artista eccentrico” creando opere di dimensioni gigantesche e miniature su un chicco di riso. Dopo aver partecipato ad un concorso di pittura per dimostrare il suo talento, fu infine chiamato dallo shōgun Tokugawa Ienari.

In seguito alla morte del figlio perse il suo principale sostegno economico e dovette dedicarsi all’illustrazione di libri e alla pubblicazione di manuali di pittura, girando per le città in cerca di apprendisti. In questo periodo pubblicò anche una serie di schizzi, gli Hokusai manga, su soggetti di vario genere.

Negli ultimi anni della sua vita, a causa dei debiti contratti da un nipote, dovette tenersi lontano da Edo, continuando a peregrinare da un luogo all’altro. Quando alla fine potè tornarvi, la città era afflitta da una grave carestia e dunque non c’era molto lavoro per l’artista. A ciò si unirono diverse altre contrarietà fra cui l’incendio del suo studio, con la perdita della maggior parte delle sue opere, e un problema di salute.

Ciò nonostante fu proprio in questo periodo che produsse quelle che forse sono le sue opere più importanti, come le serie Vedute di ponti famosi, Cascate famose in varie province, l’incompiuta Cento vedute del monte Fuji e soprattutto Trentasei vedute del monte Fuji, alla quale appartiene l’opera in esame.

Fu assistito nella sua attività di pittore e negli ultimi anni di vita dalla figlia Katsushika Oi che fu l’unica della famiglia ad ereditare la passione per la pittura del padre.

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