Kawase Hasui maestro del paesaggio

Kawase Hasui (pseudonimo di Kawase Bunjirō) nacque il 18 maggio 1883 a Shiba, Tōkyō, da una famiglia di commercianti di filati. Fin da piccolo, l’autore subì l’influsso di un background familiare culturalmente stimolante: sua madre era la sorella dello scrittore di epoca Meiji (1868-1912) Kanagaki Robun, vicino all’ambiente del teatro kabuki; non è un caso che alcune opere dell’artista rappresentino attori. La vita artistica dell’autore fu influenzata anche dalla sua salute cagionevole che lo condusse, da bambino, a frequenti soggiorni presso sua zia, nella località termale di Shiobara, a nord di Tōkyō: l’interesse per il tema del paesaggio, grande protagonista dell’opera di Kawase Hasui, sarebbe stato ispirato proprio dal ricordo dei suggestivi scenari ammirati nell’infanzia.

Se, da un lato, la famiglia dell’autore contribuì all’avvicinamento del giovane Kawase Hasui al mondo dell’arte, dall’altro, tuttavia, ostacolò gli studi artistici dell’autore, preferendo avviarlo alla gestione dell’attività commerciale. Fu soltanto all’età di ventisei anni, quando l’impresa di famiglia, in seguito al matrimonio di sua sorella, passò nelle mani di quest’ultima e di suo marito, che Kawase Hasui fu finalmente libero di dedicarsi esclusivamente agli studi artistici. Dapprima si rivolse al maestro Kiyokata Kaburagi, ma questi lo rifiutò perché considerava la sua età troppo avanzata, consigliandogli un apprendistato presso la bottega di Okada Saburōsuke: qui l’artista imparò le tecniche dell’arte occidentale, come la pittura a olio e l’acquerello e soltanto due anni dopo, quando, per la seconda volta, domandò di essere ammesso a svolgere il tirocinio presso Kiyokata Kaburagi, quest’ultimo lo accettò, insegnandogli i generi tradizionali dell’ukiyo-e e del Nihonga e imponendogli il nome Hasui (che significa “acqua che sgorga da una sorgente”, mentre Kawase vuol dire “rapide di fiume”).

A seguito della visione di una mostra di Itō Shinsui ove erano esposte le stampe della serie Otto vedute del lago Biwa, l’artista entrò per la prima volta in contatto con il nuovo genere Shin-hanga dal quale fu affascinato ed ebbe altresì modo di incontrare la figura carismatica che aveva ispirato e promosso tale corrente artistica, l’editore Watanabe Shōzaburō. Quest’ultimo gli commissionò tre stampe di prova che furono pubblicate nel 1918: da quel momento ebbe inizio una proficua collaborazione che sarebbe durata per tutta la vita dell’autore. Le prime matrici di legno andarono perdute nell’incendio che accompagnò il grande terremoto del Kantō nel 1923 e che distrusse sia lo studio di Watanabe Shōzaburō sia la casa dell’artista – il che rende particolarmente preziose e ricercate dai collezionisti le stampe precedenti quella data -: egli però non si arrese e riprese l’attività, intraprendendo dei viaggi al fine di trarne ispirazione per la propria produzione artistica. Nessun’opera di Kawase Hasui è stata prodotta all’interno di uno studio, ma tutte si sono fondate su schizzi eseguiti dall’autore all’aperto, dal vero. Egli ritraeva velocemente il paesaggio a grandi linee, poi, a causa della sua ridotta capacità visiva, si avvicinava per riprendere i particolari. Infine, suggeriva allo stampatore, dipingendoli ad acquerello, i colori che avrebbe dovuto scegliere. L’opera finale era il risultato dell’interazione con incisore, stampatore ed editore che, spesso, apportavano modifiche all’originale, anche per adeguarlo ai gusti del mercato: Kawase Hasui commentava tale pratica dicendo che le sue stampe risultavano essere, alla fine, talvolta migliori, talvolta peggiori, ma raramente o mai uguali a come le aveva concepite.

I paesaggi rappresentati dall’autore, a differenza che nella tradizione dell’ukiyo-e, non sono vedute di luoghi famosi (meisho-e): al contrario, l’artista prediligeva luoghi poco conosciuti del Giappone tradizionale e rurale, quasi volesse svelare, al di là delle rappresentazioni oleografiche e un po’ retoriche, l’anima autentica e segreta del Giappone. Egli evitava inoltre il più possibile i riferimenti alla modernità, preferendo fissare nelle sue stampe il ricordo di antichi scenari dall’atmosfera serena ed al contempo nostalgica. Infine, ritraeva pochissimo la figura umana, evitando di rappresentare la folla persino nelle raffigurazioni di paesaggi urbani. Ciò si doveva sia alla sua menomazione visiva che gli impediva di raffigurare i particolari minuti, soprattutto se in movimento, sia alla sua predilezione per l’atmosfera solitaria, quieta e misteriosa.

L’artista conciliava i soggetti dell’arte giapponese tradizionale con le tecniche del realismo occidentale, quali la prospettiva e il chiaroscuro. Combinava inoltre la sensibilità atmosferica tipicamente giapponese con lo studio della luce: amava infatti riprendere le diverse condizioni meteorologiche e i diversi momenti della giornata, esprimendo, mediante essi, differenti stati d’animo; ritraeva con grande maestria le scene notturne, nonché gli effetti della pioggia, della nebbia e della neve.

L’autore non divenne mai ricco: era pagato in relazione al numero delle stampe che però erano vendute a prezzi modesti; inoltre, i viaggi erano dispendiosi e la casa dell’artista fu distrutta per ben due volte, nel terremoto del Kantō e nel corso dei bombardamenti di Tōkyō durante la seconda guerra mondiale. Era un tradizionalista: portava sempre il kimono, rifiutando di indossare gli abiti occidentali e beveva sakè; era onesto, accurato e coscienzioso, amava scherzare ed aveva un discreto senso dell’umorismo: ad esempio, era solito chiamare se stesso “hanga-do” che si può tradurre con “autore di stampe”, ma anche con “artista semi-serio”.

Nel corso dei suoi oltre quarant’anni di attività artistica, produsse più di seicento stampe, per la maggior parte raffiguranti paesaggi: la sua opera documenta dunque il Giappone del periodo Taishō (1912-1926) e del primo periodo Shōwa (1926-1957). Nel 1956 l’artista fu insignito del prestigioso titolo di Tesoro nazionale vivente del Giappone. Lavorò incessantemente fino alla morte, avvenuta il 7 novembre 1957: la sua ultima stampa, Sala dalla tonalità dorata, Hiraizumi, fu pubblicata postuma e distribuita da Watanabe Shōzaburō in occasione di una celebrazione in suo ricordo. Le sue stampe divennero famose in Occidente grazie al collezionista americano Robert O. Muller.

Mattina a Dōtonbori, Ōsaka, dalla serie Ricordi di viaggio II, 1921, Museum of Fine Arts, Boston

In questo paesaggio mattutino, la luce irrompe dall’angolo sinistro del quadro, dissolvendo le ultime ombre azzurrine della notte. L’essenzialità del cromatismo accentua gli effetti luministici. La prospettiva, più che geometrica, è atmosferica (come nella pittura cinese a inchiostro): le case diventano sempre più stilizzate e sfocate man mano che ci si allontana, dissolvendosi infine nell’aereo pulviscolo luminoso. Il fiume, ritratto di scorcio anziché frontalmente, appare dinamico: pare di osservare la corrente muoversi, trascinando via le barche all’orizzonte. Parallelo al fiume d’acqua sembra scorrere un fiume di luce, nel quale i gabbiani paiono nuotare.

Bagliore di sera a Yanaka, dalla serie Dodici mesi a Tōkyō, 1921

All’atmosfera lieta e speranzosa delle prime luci del mattino, nella stampa precedente, fa da contrappunto, in quest’opera, la quieta malinconia di una sera d’autunno. Un tempio buddista si erge, maestoso, fra l’albero spoglio in primo piano e la foresta velata di nebbia sullo sfondo. La costruzione della scena è fondata su una tensione verticale. La nudità dell’albero esprime drammaticamente il declino della natura in questo periodo dell’anno e il volo solitario dell’uccello trasmette una desolata solennità.

Matsushima al chiaro di luna, 1919

Matsushima, un arcipelago costituito da 260 piccole isole coperte da pini, è una delle tre vedute scenografiche del Giappone. L’isola solitaria rappresenta una proiezione dell’animo di Kawase Hasui che avvertì molto la solitudine nella sua vita. Dietro il piano in controluce emerge la luna dallo squarcio di nubi del cielo liquefacendosi nel mare.

Shiba Zōjō-ji, dalla serie Venti vedute di Tōkyō, 1925

Dietro un albero che non è interamente nel campo visivo (tale rappresentazione, consueta nell’arte giapponese, invita a completare l’oggetto nell’immaginazione), si svolge una tormenta di neve. Il bianco dei fiocchi contrasta con il rosso vivo del tempio ed evoca un’idea di sacralità. La figura femminile solitaria è quasi completamente coperta dall’ombrello e comunica un senso di mistero. Come si è detto in precedenza, Kawase Hasui ritrae raramente la figura umana; quando lo fa, evita che fra essa e lo spettatore si stabilisca un contatto visivo, per esprimere la solitudine della condizione umana e il mistero in essa insita. La donna, il tempio, la neve: la suggestione che pervade questa stampa ha fatto sì che fosse ad essa conferito il titolo di Tesoro nazionale del Giappone.

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