Bijinga di Kitagawa Utamaro

Toji san bijin (Tre bellezze di oggi) (intorno al 1793), di Kitagawa Utamaro, The Toledo Museum of Art
Toji san bijin (Tre bellezze di oggi) (intorno al 1793), di Kitagawa Utamaro, The Toledo Museum of Art

La stampa a colori in esame, realizzata su matrice di legno e decorata con polvere di mica, appartiene al genere del bijinga di cui abbiamo parlato a proposito di Uemura Shōen. I tipi sono bellezze “di oggi”, della contemporaneità dell’autore e dunque c’è un’anticipazione della fotografia che consiste nell’intento di riprendere, oltre alle tre fisionomie femminili, il tempo al quale esse appartengono e che rappresentano. Le donne, il cui volto è idealizzato, sono identificate attraverso i loro attributi, cioè il ventaglio o le fantasie dei panneggi, come icone o come dee (forte è la suggestione della triplice armonia interna al gruppo, quasi un accordo musicale, che induce a paragonarle alle figure mitologiche occidentali delle Grazie). C’è però una tensione fra idealizzazione e individualizzazione che si esprime nella leggerissima diversificazione dei lineamenti, estremamente stilizzati. Si può dunque parlare di ritratto, anzi, di ritratto “cronistico”, fotografico, attento alla resa dei particolari, ad esempio alle sontuose pettinature del tipo yoko-hyogo che Utamaro evidenzia con l’intensa colorazione nera in contrasto con lo sfondo.

Utamaro ha ideato la tecnica, molto adottata nell’ukiyo-e, che consiste nell’utilizzare polvere di mica per dare luminosità allo sfondo (kira-e), creando un contrasto con l’immagine in primo piano. In particolare, in questo ritratto, l’incarnato opaco delle donne è esaltato dallo sfondo opalescente.

L’autore ha dato rilievo alle figure femminili adottando il genere dell’ōkubi-e, cioè del “ritratto ampio” nel quale si rappresenta soltanto il busto del soggetto raffigurato, conferendogli monumentalità.

Un ritratto della geisha di più alto rango, Hanaōgi (1794), di Kitagawa Utamaro, Tobacco and Salt Museum, Tokyo
Un ritratto della cortigiana di più alto rango, Hanaōgi (1794), di Kitagawa Utamaro, Tobacco and Salt Museum, Tokyo

La protagonista di questo secondo ritratto di Kitagawa Utamaro è, come quelle dell’opera precedente, un personaggio storico. Si tratta di Hanaōgi IV, una delle cortigiane di più alto rango del periodo Edo, della casa da tè (ōgi-ya) del quartiere di piacere di Yoshiwara, dalla quale ella forse fuggì con il suo amante proprio dopo la pubblicazione di questa stampa. La donna non guarda lo spettatore anche se probabilmente sa di essere guardata e in posa elegante e con gesto disinvolto si impegna nel fermarsi i kanzashi, gli ornamenti dell’acconciatura, fra i capelli. Il kimono è decorato con una leggiadra fantasia a ventagli con nastri annodati. La linea del panneggio è più spessa e morbida, quella che disegna viso e braccia più sottile e dinamica, raggiungendo nelle mani e nel gesto preciso e delicato delle singole dita il massimo dell’espressività. Anche il ritratto della cortigiana Hanaōgi è una stampa del genere bijinga e della corrente ukiyo-e e dunque era destinata ad una produzione di massa in più copie, ma è interessante che non siano pervenute altre copie ottenute dalla stessa matrice.

Sulla vita di Kitagawa Utamaro, pseudonimo di Kitagawa Ichitaro, vi sono scarse informazioni e tradizioni diverse. Secondo alcune fonti sarebbe nato in una delle tre principali città del Giappone, Edo (l’attuale Tokyo), Kyoto o Osaka o in una non meglio individuata cittadina di provincia intorno al 1753. Secondo un’altra sarebbe nato a Yoshiwara, un quartiere di divertimenti, da proprietari di una casa da tè.

Fin da bambino si avvicinò alla pittura con il maestro (o forse padre) Toriyama Sekien che aveva studiato dapprima alla scuola classica Kanō e si era in seguito avvicinato al genere popolare ukiyo-e. Tale espressione, in italiano “immagine del mondo fluttuante”, designava le stampe da matrici di legno diffusesi nelle città del Giappone nel periodo Edo, tra il XVII e il XIX secolo. Il genere ukiyo-e si rivolgeva agli abitanti delle città e dipingeva la vita urbana, in particolare scene dei quartieri dei divertimenti.

Nel 1804, all’apice della sua affermazione, ebbe dei guai giudiziari a causa di alcune stampe che rappresentavano il condottiero di epoca Momoyama Toyotomi Hideyoshi. Poiché tale personaggio era inviso a chi all’epoca deteneva il potere, ne risultò addirittura la condanna di Utamaro ad una restrizione di libertà (che sarebbe consistita nella prigione o nell’obbligo di stare in manette per cinquanta giorni) che, secondo alcune fonti, avrebbe sconvolto la sensibilità dell’artista e amareggiato l’ultimo suo periodo di vita.

Morì a Edo il ventesimo giorno del nono mese del 1806.

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